Codifica delle decisioni soggettive nella corteccia orbitofrontale

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 11 giugno 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’abilità quotidianamente esercitata di prendere delle decisioni nei tipici contesti della vita umana è oggetto di una specifica branca di studi psicologici ed analisi cognitive che ha ormai una lunga tradizione, ma da qualche tempo la ricerca delle basi neurali del decision making ha assunto un più definito indirizzo neuroscientifico, includendo metodi e procedure più idonei alla definizione fine degli stati funzionali dei sistemi neuronici indagati. Un particolare corso di questa ricerca sta approfondendo aspetti relativi a decisioni soggettive.

Quando si opera una scelta soggettiva, il cervello computa il valore di ciascuna opzione e compara i valori di ognuna, integrando informazioni che derivano dal bagaglio personale di memorie, esperienze e interpretazioni ricordate. La corteccia orbitofrontale è unanimemente considerata la sede critica elettiva per questa funzione, ma i meccanismi neurali alla base del compimento degli eventi decisionali rimangono oscuri.

Rich e Wallis hanno documentato il loro tentativo di fare luce su questi processi in uno studio proposto come advance online publication questa settimana sul sito di Nature Neuroscience (Erin L. Rich & Jonathan D. Wallis, Decoding subjective decisions from orbitofrontal cortex. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi:10.1038/nn.4320, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Helen Wills Neuroscience Institute, University of California at Berkeley, Berkeley, California (USA); Department of Psychology, University of California at Berkeley, Berkeley, California (USA).

Sono vari i modi in cui è stato definito il processo decisionale o decision-making ma, sebbene vi siano differenze relative a particolari aspetti meglio specificati nei singoli enunciati, in tutti si può riconoscere un nucleo concettuale comune che riguarda il processo cognitivo che seleziona una credenza o una direzione comportamentale tra due o più possibilità alternative[1].

In termini psicologici la decisione è intesa come la formulazione di un indirizzo di azione con intento esecutivo[2]. Una tale definizione generica si applica tanto ai piani quanto agli atti circoscritti. In entrambi i casi la decisione, come ogni altra operazione cognitiva che implica l’intervento della corteccia prefrontale, richiede una spinta di base ad eseguirla. Per questa ragione si ritiene che il decidere sia vincolato alla presenza di un minimo livello di tale spinta e la forza della decisione sia funzione di questo livello. In altre parole, l’operazione decisionale dipenderebbe da una sorta di energia motivazionale la cui entità determina in proporzione la forza della decisione.

La scelta decisionale si ritiene sia un atto di attenzione selettiva, non necessariamente cosciente, determinato nella corteccia frontale dopo l’analisi e la valutazione automatica e involontaria di vari elementi percettivi, mnemonici ed emozionali[3]. Si ritiene, in senso neurofunzionale, che la decisone abbia valore adattativo e, pur se in tempi rapidissimi, sia il risultato del bilancio fra rischi e benefici potenziali derivanti dal suo esito. Per questa ragione, il decision-making e il ruolo che ha in esso la corteccia prefrontale sono argomenti privilegiati nel campo degli studi neuroeconomici.

Il punto di vista attualmente assunto nello studio della base morfo-funzionale dei processi decisionali costituisce un passo in avanti importante rispetto al passato, perché supera l’idea che postulava l’esistenza di un centro delle decisioni, verosimilmente retaggio del “centro della volontà” del secolo scorso, e considera la decisione come un evento determinato dalla concorrenza e dall’integrazione di molti sottoprocessi. Infatti, nell’ultimo mezzo secolo non è stata prodotta alcuna evidenza circa l’esistenza di un tale “modulo localizzato”, e il concetto di “sistema esecutivo centrale”, caro ad alcuni neuropsicologi di fama, viene riferito alla funzione della parte anteriore della corteccia frontale, ossia la regione della neocorteccia con la maggiore quantità e varietà di connessioni. Nelle varie aree della corteccia prefrontale giungono, direttamente o indirettamente, impulsi provenienti da ogni regione dell’encefalo, quali quelli del tronco encefalico e del diencefalo che forniscono informazioni sullo stato dell’equilibrio interno, quelli delle strutture limbiche che trasmettono dati sullo stato affettivo e su valori motivazionali, quelli della miriade di sedi corticali che veicolano il contributo di memorie ed esperienze del passato, e quelli che provengono dalla stessa corteccia prefrontale e dalle strutture connesse per l’esecutività attuale.

Fra queste afferenze, una particolare importanza è stata attribuita dalla ricerca recente a quelle provenienti dalla corteccia anteriore del giro del cingolo, o circonvoluzione cingolata, perché si ritiene che veicolino informazioni specifiche per il processo decisionale derivanti dalla sua ipotetica funzione di controllore dei risultati delle decisioni prese in precedenza in circostanze simili.

La regione corticale che da molti anni è specificamente indagata come principale base neurofunzionale del processo decisionale corrisponde alla superficie orbitale del lobo frontale, ossia la corteccia orbitofrontale. Le numerose ragioni di questa scelta si posso sintetizzare in tre punti.

     1) La corteccia orbitofrontale è ritenuta un’importante sede per la codifica dei segnali di “ricompensa” perché raggiunta da un imponente afferenza di fibre dopaminergiche provenienti da sedi sotto-corticali, inclusa l’area tegmentale ventrale (VTA), e i suoi neuroni esprimono un alto numero di recettori dopaminergici che consentono un’elevata sensibilità per questo input;

     2) la regione orbitofrontale è l’area corticale ricevente dei segnali viscerali provenienti da molti punti differenti del sistema che media e controlla l’equilibrio interno secondo un regime fisiologico (milieu) assicurato anche grazie all’integrazione delle funzioni endocrine e neurovegetative;

     3) la corteccia orbitofrontale è parte di un sistema complesso di strutture in prevalenza limbiche, fra le quali emerge l’amigdala, che sono estesamente implicate nel comportamento emotivo e risultano intensamente attive nella stima della valenza motivazionale di stimoli interni ed esterni.

Sulla base delle evidenze sperimentali che supportano questi tre punti, si ritiene che la corteccia orbitofrontale costituisca una regione fondamentale per l’integrazione del comportamento emozionale e, allo stesso tempo, un fornitore di informazioni viscerali ed emozionali in grado di influenzare i processi decisionali.

Assumendo questo punto di vista neurofisiologico, basato sulla ricchezza di connessioni della corteccia orbitofrontale, è ragionevole ritenere ogni decisione come la risultante vettoriale di influenze neurali convergenti, ovvero come la risoluzione di competizioni e conflitti fra spinte motivazionali ed elementi informativi su bisogni interni e necessità esterne. Una tale risoluzione richiede necessariamente degli eventi selettivi, che nel sistema nervoso centrale sono costituiti da facilitazione selettiva ed esclusione inibitoria[4].

Non è questa la sede per affrontare la controversa questione dell’esistenza del “libero arbitrio”, negata da vari ricercatori sulla base di esperimenti che dimostrano solo l’automatismo di scelte in compiti percettivi banali, ma, seguendo le semplici ed equilibrate osservazioni di Joaquin Fuster, diremo che molte delle nostre decisioni sono determinate dai nostri “valori più elevati, che sono il prodotto di educazione e buon esempio e sono probabilmente rappresentati in reti corticali di distribuzione sconosciuta. Queste «memorie procedurali» di alto livello indubitabilmente improntano molte delle nostre decisioni inconsciamente”[5].

Venendo allo studio di Rich e Wallis, notiamo che i due ricercatori hanno preso le mosse dal fatto che la difficoltà di scoprire i meccanismi neurali del processo decisionale è in parte dovuta agli attuali limiti nella nostra capacità di misurare e controllare le deliberazioni interne che possono alterare le dinamiche di elaborazione. I ricercatori sono riusciti a tracciare queste dinamiche, recuperando stati neurali temporalmente precisi da dati multidimensionali ottenuti dalla corteccia orbitofrontale.

In particolare, hanno rilevato che, durante scelte individuali, la fisiologia della corteccia orbitofrontale si alternava fra stati associati con il valore di due opzioni disponibili, con specifiche dinamiche che predicevano se un soggetto avrebbe deciso rapidamente o, al contrario, avrebbe tentennato fra due possibili alternative[6]. Gruppi estesi di neuroni codificanti il valore contribuivano a questi stati, con singoli neuroni che mutavano il pattern di attività quando la rete valutava le due opzioni.

Su questa base i due ricercatori sono riusciti a comprendere e dimostrare che il meccanismo di decision-making per scelte soggettive implica l’attivazione dinamica di stati funzionali particolari, ciascuno dei quali è specificamente associato a una scelta alternativa.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza ed invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-11 giugno 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Nella pratica sperimentale il decision-making è considerato come un’attività di problem-solving conclusa da una soluzione ritenuta soddisfacente; un processo più o meno razionale o irrazionale, basato tanto su conoscenze esplicite (memorie episodiche e semantiche) quanto su conoscenze implicite (memorie procedurali, abitudini, ecc.).

[2] Cfr. “Decision-making” in Fuster J. M., Prefrontal Cortex, p. 355, AP Elsevier, 2008. A questo testo si rifà anche l’esposizione che segue.

[3] Il tempo di processo necessario alle operazioni coscienti (percorrenza del “circuito di Libet”) non lascia possibilità alla elaborazione cosciente di queste componenti, tuttavia Fuster nel paragrafo citato si esprime prudenzialmente così: “Most or all of them may be unconscious”.

[4] Anche coloro che non condividono l’opinione di Edelman e Perrella secondo cui l’encefalo sarebbe un sistema complesso che in una certa misura seleziona se stesso, non avranno difficoltà a sposare l’idea edelmaniana dell’importanza degli automatismi selettivi nel processo decisionale, siano essi o meno la conseguenza di un principio che opera in ogni aspetto della neurobiologia del cervello, dalla filogenesi e dall’embriogenesi fino alle basi dei processi psichici di più alto grado di integrazione.

[5] Fuster J. M., Prefrontal Cortex, p. 356, (traduzione dell’autore), AP Elsevier, 2008.

[6] Per la caratterizzazione tecnica degli stati si rinvia alla lettura del testo integrale dell’articolo originale.